Donne e madri expat

A chi si rivolgono queste parole…

Queste parole si rivolgono a tutte le madri che vivono l’esperienza di vita all’estero.

Non hanno in alcun modo la pretesa di racchiudere e definire ciò che significa essere una mamma e donna all’estero e non vogliono in alcun modo sminuire l’esperienza dei partner, considerandola meno complessa o più facile.

Si muovono principalmente dall’intento di provare a raccontare l’intensità di una tale esperienza a cui la donna si affaccia.
Un’esperienza che spesso non viene colta e legittimata nella sua complessità, con il rischio che le difficoltà inevitabili a cui una donna va incontro possano diventare sofferenza che paralizza.

Donne e madri che scelgono di emigrare

Il modo in cui una donna partecipa alla scelta di partire è cambiato significativamente nel tempo.
Se decenni fa la maggior parte dei trasferimenti all’estero si realizzava a fronte di proposte lavorative rivolte agli uomini, con benefit significativi per tutta la famiglia, oggi lo scenario appare diverso.

Il Rapporto sugli Italiani all’estero della Fondazione Migrantes del 2019 rivela come la metà delle partenze degli italiani all’estero (128.583 nel 2018) riguardino nuclei familiari, nella maggior parte con un figlio arrivato da poco.
Il report prosegue raccontando come spesso questi giovani abbiano un impiego in Italia, ma non corrispondente al proprio titolo di studio e con una remunerazione insoddisfacente.

La scelta condivisa dalle coppie è fatta immaginando che sarà la donna ad occuparsi inizialmente dei figli, mentre l’uomo si dedicherà al lavoro, per poi modificare la soluzione strada facendo.
Questo dato, insieme alle storie che ho raccolto, suggeriscono che, in questo tempo, la scelta familiare di partire prenda le mosse dal senso di non essere “riconosciuti” dal proprio paese, non rispettati, da un senso di vuoto e di mancanza di prospettive.
I figli e il desiderio di offrire loro possibilità future più dignitose appaiono essere il motore principale che alimenta un passaggio di questo tipo.

In questo scenario le donne sembrano vivere la partenza nei termini di una scelta condivisa e maturata con il partner.
Il senso personale sembra basato sull’anticipazione che un trasferimento all’estero possa regalare a tutta la famiglia, e, quindi, a ciascuno membro, la possibilità di una crescita e soddisfazioni future.

La fatica maggiore sembra essere relativa al lasciare le relazioni significative e al senso di precludere ai propri figli la possibilità di avere un rapporto di maggior “vicinanza” con i nonni.
La sfida più grande sembra essere quella di elaborare la “distanza geografica” come qualcosa che non annulla i rapporti significativi, ma come un elemento che spinge a trovare altri modi per continuare a sentirsi “vicini”.

Quando la proposta è fatta ad uno dei partner.

Accanto a questo scenario di trasferimento familiare che si sta delineando in Italia negli ultimi anni, continuano ad esserci i trasferimenti familiari che sono fatti a fronte di una proposta lavorativa rivolta ad uno dei membri della coppia.
In Italia i trasferimenti familiari che si realizzano a seguito di una proposta fatta alla donna risultano una minima percentuale rispetto a quelli fatti per una proposta fatta all’uomo.
Data l’incidenza delle statistiche mi concentrerò a considerare l’esperienza della donna in quest’ultimo caso.
Il modo in cui la donna oggi è coinvolta rispetto alla scelta di partire è cambiato.
Se decenni fa “seguire” il marito era una scelta data quasi per scontata, coerente con il modello culturale del tempo e, quindi, anche con il modo in cui la donna viveva sé stessa, ora non lo è più.

Il processo di cambiamento culturale legati alla parità di genere ha implicato una maggiore consapevolezza di Sé da parte della donna che ha portato a ridefinire il rapporto con sé stessa e con il mondo, a modificare le modalità relazionali familiari.

La realizzazione personale, l’autonomia, l’indipendenza sono diventati cosí dimensioni centrali.

Alla luce di queste considerazioni è possibile immaginare come andare all’estero per tenere insieme la famiglia (seppur sia una ragione importante per la donna stessa) non risulti sufficiente per vivere il passaggio in modo sereno.

Diviene cruciale, dal mio punto di vista, che una donna possa “partire” insieme alla sua famiglia nel momento in cui abbia elaborato un senso personale rispetto a questa possibilità; un senso, cioè, legato alla possibilità di immaginare in che modo l’estero possa diventare un’opportunità di crescita per il tipo di persona che ritiene di essere.

La scelta sarà più ardua, quindi, per quelle donne che hanno costruito una professione in cui si riconoscono e una rete di relazioni importanti.
In queste esperienze di vita il vissuto, almeno iniziale, a cui molte donne si spesso ci affacciano è quello di “rinuncia e di sacrificio“.
Rinuncia ad aspetti importanti di Sé per la famiglia o per l’Altro.

Se l’unica dimensione su cui poggia la scelta è quella di “tenere insieme la famiglia” col senso di rinunciare a qualcosa di sé stessi molto prezioso, il rischio di andare incontro ad un’esperienza che assume il sapore di qualcosa che viene “subito” è molto alto.
Come molta alta è la probabilità che questo abbia delle implicazioni sulla vita familiare e di coppia.
A questo riguardo sarà significativo per la donna andare oltre il senso della “rinuncia” o del “Sacrificio di Sé per l’Altro”, mettendo a fuoco il suo senso, le sue ragioni in modo da partecipare come co-protagonista, insieme al partner, in questa scelta.

Essere madri all’estero tra opportunità, fatiche e rischi

Seppur questi scenari delineati sopra, contemplino esperienze diverse nel processo della scelta da parte della donna, il modo di iniziare l’avventura e le sfide implicate rivelano delle comunanze.
Di seguito cercherò di raccontare questi aspetti di similitudine che ho riscontrato.

Cominciare l’avventura come “madri”

Partire quando si è madri significa, molto spesso, iniziare l’avventura in un certo modo.
Come madri, appunto.
Il più delle volte l’essere mamma orienta e detta il passo a questa nuova possibilità.
L’impegno a far sí che i propri figli si inseriscano al meglio nel nuovo contesto diventa il motore che plasma le prime azioni: esplorare e capire come muoversi nel contesto scolastico (nel rapporto con gli insegnanti, con gli altri genitori…) o nel contesto sanitario (come si accede alle visite mediche…); conoscere gli spazi e le proposte pensate per i bambini; conoscere i luoghi in cui andare a fare la spesa, i servizi offerti.
Un processo, questo, tanto sottile e impercettibile quanto prezioso.
Attraverso di esso si cominciano ad intrecciare la trama della propria famiglia e quella del luogo e delle persone che abitano la nuova terra.

Questo ruolo può implicare, come in ogni cosa, vincoli e opportunità.

Le opportunità

Muoversi, orientate e sostenute dall’idea di accompagnare i propri figli al meglio, può essere una grande porta di accesso al nuovo paese.
Intorno ai figli possono cominciare da subito a prendere forma contatti e relazioni; per i figli si è più disponibili a tollerare e ad andare oltre le difficoltà che possono insorgere nell’incontro con il diverso.
In questo modo il processo di adattamento e, quindi, la sensazione di mettersi “in relazione” con la nuova realtà e potersi muovere in essa può prendere un passo un po’ più leggero o, comunque, facilitato.

I vincoli

In ogni caso, alcuni fattori possono rendere questo passaggio piuttosto difficoltoso e favorire un’esperienza di disagio significativo.

Modelli educativi diversi
In primo luogo, credo che la differenza culturale relativa al modello educativo e all’approccio all’infanzia propri del paese ospitante rispetto a quello di riferimento incidano significativamente su come si possa vivere l’inserimento dei propri figli nel contesto scolastico.
La sensazione di non capire in che modo gli insegnanti si muovano nella relazione con i bambini (per esempio se agiscano un atteggiamento di comprensione oppure solo di etichettamento e di rimprovero) o la poca disponibilità da parte loro a dare informazioni, può esporre ad una sensazione di minaccia, di preoccupazione, di ansia, soprattutto se si ha la percezione che il proprio bambino sia in difficoltà.
Fidarsi e affidarsi al nuovo contesto può diventare un passaggio complicato.

In questo processo di inserimento, la conoscenza della lingua assume un ruolo significativo.
Infatti, non riuscire ad esprimere le proprie preoccupazioni, domande, curiosità può favorire la sensazione di essere intrappolate in una sorta di bolla.
Un senso di estraniamento, di solitudine che può tradursi, a volte, in un senso di impotenza e di incapacità ad affiancare adeguatamente i propri figli

Questa, per diversi motivi, può diventare per alcune donne un’esperienza piuttosto destabilizzante.

Scoprirsi diverse da come ci si conosceva
Incappare in una tale esperienza può implicare scoprirsi molto diverse da come ci si conosceva quando si era in patria.
Per alcune donne questa esperienza può significare, per esempio, passare dall’essersi sempre e per lo più percepite come sicure, autonome e socievoli a sentirsi invece vulnerabili, “insicure”, timorose anche di intraprendere una conversazione.

Il senso della vulnerabilità, della fragilità può aumentare a fronte del senso della nostalgia e della mancanza delle persone amate che sono rimaste in Italia.

Quindi, se accompagnare un figlio è in sé un aggancio importante per entrare in relazione con il paese ospitante e per cominciare a trovare un posto in quel contesto, al contempo può implicare anche vissuti complessi e dolorosi che possono limitarlo.
Prepararsi alla partenza, avere ben chiare le ragioni personali e familiari su cui è fondata una tale scelta sono elementi che possono favorire un buon processo di adattamento.

Oltre l’essere madre

L’Essere Madri è uno dei modi, seppur importantissimo, attraverso cui prende forma l’unicità di una donna.
Ma non è l’unico.
E se dare spazio ad altri aspetti di Sé appare sempre importante nell’esperienza di una donna, lo è, a maggior ragione in una vita all’estero.

A “maggior ragione”, perché spesso l’estero per una donna implica ricominciare completamente da capo e affacciarsi ad un’esperienza di incertezza piuttosto significativa rispetto alla forma da dare ai propri nuovi passi.

A volte il passaggio “a sé stesse” e a ciò che si vorrebbe, appare piuttosto fluido e, per lo più avviene a fronte della sensazione che i propri figli si siano inseriti, o si stiano inserendo bene, nel nuovo contesto.

Ricominciare come un’opportunità

L’esperienza all’estero racchiude in sé una possibilità preziosa, in quanto spazio di vita inatteso, che può essere riempito e trasformato in modi nuovi, coerenti con chi si è.

È come avere “carta bianca” davanti e poter disegnare possibilità per sé stesse, che magari in altri momenti della propria vita, o in patria, non sarebbero state possibili.

Ricominciare può diventare un’opportunità per mettere a fuoco chi si è, che cosa si vorrebbe e, quindi, per rigiocarsi in modi personali nuovi, e scoprirsi per aspetti diversi.

Quando ricominciare come persone diventa più difficile

Altre volte, pensare a se stesse, al di là del proprio essere mamme, risulta un passaggio che risulta particolarmente difficile.

Può accadere che l’esperienza di non avere un lavoro e l’incertezza legata al non sapere come muoversi e verso quale direzione possa favorire, da parte di una donna, l’ancorarsi all’essere mamma come unico modo per portare avanti l’esperienza all’estero e, contemporaneamente, il ridurre il contatto e gli scambi con la cultura circostante al minimo necessario.

Questo può, per alcune, implicare vissuti di svuotamento, tristezza, solitudine che appaiono legati al senso di perdita di sé stesse.

Che cosa può essere utile?

Il potere della condivisione
Il senso solitudine è l’esperienza che il più delle volte attraversa il proprio vivere all’estero, in modo indirettamente proporzionale a quanto ci si sente parte del nuovo contesto.
Più ci sente in relazione e appartenenti, meno ci si sente soli.

La condivisione tra donne
Soprattutto nelle fasi iniziali l’esperienza della condivisione, di persona ma anche su gruppi social, dell’esperienza di “essere mamme e donne” può favorire un senso di minore isolamento.
La possibilità di ritrovare aspetti di comunanza tra il proprio sentire e quello di altre donne, di sperimentare una comprensione reciproca e il confronto con altri modi di far fronte alle sfide quotidiane permettono di “normalizzare” i propri vissuti e viverli come legittimi e comprensibili.
Questo regala sostegno, incoraggia ad uno sguardo più benevolo nei confronti di sé stesse, sprona ad un atteggiamento disponibile a mettersi in gioco, a proprio modo, nelle varie situazioni.

La condivisione nella coppia
In relazione alla condivisione, un posto particolare lo riserva la coppia.
In una terra che non appartiene alla propria famiglia (almeno all’inizio) prende avvio una grande scommessa per la coppia: quella di fare squadra, in un modo, forse, nuovo o comunque per aspetti diverso da quello che c’era in patria.
Essere in un paese nuovo, senza la rete relazionale in cui si inseriva la propria famiglia richiede un passaggio diverso per la coppia stessa, un modo nuovo di conoscersi, di fare conto l’uno sull’altro, di affrontare le questioni.

Se diventa troppo difficile…

L’esperienza di adattamento e, quindi, di relazione può diventare a volte troppo difficile e si può andare in crisi all’estero.
Il non saper gestire l’incertezza, le preoccupazioni e l’ansia a fronte delle difficoltà percepite da parte dei propri figli;
il senso di sentirsi “inadeguate” nel compito di accompagnarli;
l’incappare in un senso di solitudine grande;
il non riuscire a muoversi e sentirsi parte, in qualche modo, del contesto culturale;
il senso di non riconoscersi più rispetto a come “si era prima” possono esporre ad un senso di forte paralisi.
In queste situazioni diventa importante l’aiuto di un professionista che accompagni verso una comprensione maggiore di cosa stia accadendo e verso la possibilitá per riprendere in mano il filo del proprio cammino.

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