Andare in crisi all'estero

Comincerei a dire che c’è crisi e crisi: una crisi che chiamerei “fisiologica” e una crisi “più ampia”.

Una crisi “fisiologica”

Trasferirsi all’estero è un’impresa complessa, di cui spesso si sottovalutano le difficoltà.
Certo, l’evoluzione e il percorso di adattamento ad una nuova cultura cambia in funzione di tanti fattori diversi, sia legati alla persona che legati alla cultura e ai luoghi dove si va a vivere, ma in linea generale è possibile immaginare il trasferimento e adattamento ad un nuovo contesto culturale come un processo che implica, quasi inevitabilmente, una forma di “crisi fisiologica”.

Perché?

Partiamo dal considerare cosa intendiamo per “crisi”.
L’etimologia della parola “crisi” ha a che fare con la “scelta” e la scelta introduce sempre una rottura rispetto a qualcosa, indicando una direzione.

Andare all’estero è una scelta che comporta una “rottura” molto significativa.

“Rottura” da che cosa?

La cultura a cui apparteniamo – e in essa è inclusa anche la propria rete di relazioni più o meno significative – è qualcosa che vive in noi.
Essa ha partecipato a dare forma a ciò che siamo.
Tendiamo a percepirla come esterna a noi, come qualcosa di superfluo rispetto a chi siamo, ma è un terreno fondamentale su cui poggiamo la possibilità di riconoscerci.
La ritroviamo nella lingua che ha dato forma alla nostra capacità di parlare, ai valori, alle tradizioni, al modo di comunicare, agli impliciti, al modo di intendere gli eventi, all’umorismo, al modo di dare senso alle cose…
In essa ci muoviamo fluidamente.
Tutto ci appare subito sensato.
Ovvio.
E così, in quella rete di luoghi, in quella maglia di relazioni si snoda la nostra vita e noi continuiamo a riconoscerci giorno dopo giorno, sapendo cosa aspettarci da noi e dagli altri.

All’estero tutto questo salta immediatamente.

La possibilità di muoversi fluidamente, senza pensare, anche nella relazione con gli altri, scompare.
Da subito ci si ritrova affacciati ad incontrare l’incerto.

Uno stato di allerta pervade.
Compare uno sforzo -a volte sottile, impercettibile, altre più evidente- di comprendere che cosa stia accadendo per fare la nostra mossa.
In qualche modo facciamo fatica anche ad anticipare noi stessi, non capendo come muoverci. E così non ci ritroviamo del tutto.

Andare all’estero è scoprire che si faceva parte di qualcosa di cui non si era così consapevoli.

È un’esperienza che comporta necessariamente una sorta di rottura, perché mette in standby il nostro modo di muoverci con noi stessi e con il mondo.
All’improvviso emerge un senso di distacco tra noi e ciò che c’è fuori, poco conosciuto e anticipabile.
Ciò che si dava per scontato non lo è più.

Cosa succede quando ci si affaccia a questa incertezza?

Questo “scollamento”, questa incertezza molto spesso è attraversata da un brivido di curiosità, di eccitazione iniziali…che può variare in funzione di tanti aspetti (da cosa stiamo cercando dall’esperienza all’estero, da caratteristiche personali…).
Affacciarsi così alla possibilità di qualcosa di diverso per la nostra vita è coinvolgente e, per molti, entusiasmante.

L’affacciarsi di una “crisi fisiologica”

La sensazione di entusiasmo, però, evolve nel momento in cui ciò che circonda comincia a perdere quel carattere di novità.
Le vie, i negozi, le persone cominciano ad assumere un carattere di conosciuto e la sensazione di coinvolgimento si affievolisce.
Lo sguardo curioso che aveva dettato il passo in un primo momento può lasciare il posto ad una sensazione di “vuoto”, di estraneità rispetto all’ambiente da cui si è circondati, di distacco.
Ci si sente meno interessati e coinvolti.
Fare le cose che il buon senso suggerisce utili -come partecipare a corsi o eventi per conoscere altri, imparare la lingua del paese ospitante etc. con l’intento di integrarsi- possono apparire come una fatica enorme.
Può comparire un senso di tristezza diffuso, il desiderio di starsene da soli, la nostalgia della propria terra e dei propri familiari.

È come se non si riuscisse a trovare il pertugio per entrare in una comunicazione vera con ciò che sta intorno.

La sfida che si apre sarà quella di costruire una relazione importante con tutto ciò che appartiene al luogo in cui ci si trova ad abitare (dalle persone, ai posti, alle abitudini…) e renderlo un terreno in qualche modo proprio, a cui si è legati e in cui poter ritrovare il proprio passo, sentendo di avere un posto in quella nuova terra.

Ma questo è un processo che richiede tempo.
Proprio come quando si crea una relazione intima con una persona: ci vuole tempo per conoscersi e aprirsi davvero alla possibilità di fargli più spazio nella propria vita, e maturare, così, quella disponibilità a lasciarsi contaminare da essa per evolvere con essa.

E’ importante sapere che…

E’ importante sapere che si può andare incontro a questo e che ci vorrà tempo.

Saperlo modifica il proprio atteggiamento.
Permette di non spaventarsi per ciò che si vive.
Permette di essere tollerante nei confronti di sé stessi e di darsi tempo.
Permette di orientare il proprio impegno al futuro, sapendo che le cose evolveranno verso un coinvolgimento nuovo.

L’affacciarsi di una crisi “più ampia”

A volte il malessere a cui una persona può andare incontro una volta all’estero assume la forma di un disagio più destabilizzante e profondo.
Il vissuto che accompagna questa possibilità assume le sembianze di un senso di “paralisi” della propria vita, con la percezione di essere con le spalle al muro, incapaci di trovare una via d’uscita alla situazione vissuta.
A volte la sensazione viene raccontata nei termini di una paura di crollare o di non saper più che pesci pigliare.

Questo stato di malessere molto spesso è accompagnato da un senso di solitudine profonda, da un’esperienza pervasiva di estraneità, da stati di tristezza molto significativi, a da crisi di pianto molto importanti.
Possono comparire sintomi ansiosi -come la paura di andare in mezzo alla gente, attacchi di panico- o, per esempio, sintomi psicosomatici come mal di testa molto intensi e frequenti, psoriasi…

Che cosa favorisce che all’estero si vada incontro ad una “crisi più ampia”?

Le ragioni che possono accompagnare all’esperienza di una crisi profonda possono essere tante e tali che possono essere comprese tenendo conto di molteplici aspetti.

Tuttavia, di seguito condividerò alcuni aspetti di comunanza che ho rintracciato nelle storie delle persone che ho ascoltato e che sono apparsi ai miei occhi come significativi rispetto alle ragioni del loro impasse all’estero.

Partire come una “forma di riscatto” della propria vita

La scelta di andare all’estero molto spesso emerge come uno spartiacque della propria esistenza, che ha il potere di cambiare rotta alla propria vita.
È vissuta come la chance di riscrivere la propria vita in prima persona, pervasa dal desiderio di acchiappare, finalmente, il filo della propria libertà e di non rendere conto più a nessuno.

A volte, queste anticipazioni (più o meno consapevoli) legate alle possibilità di cambiare radicalmente il destino alla propria esistenza sono cosí importanti e radicali che facilmente si scontrano con l’impossibilità di realizzarsi, generando una condizione di forte malessere e vissuti che possono far sentire in scacco una persona e che possono far aprire al senso di un grosso fallimento personale.

Scoprirsi deboli, vulnerabili, bisognosi

Molto spesso la scelta di partire è basata su una percezione di sé stessi come estremamente autonomi, indipendenti, in grado di bastare a sé stessi a fronte di possibili difficoltà.
Spesso questo si accompagna ad una tendenza a sottovalutare la complessità di una vita all’estero e, per qualcuno, anche a scegliere di trasferirsi in modo impulsivo, per esempio, senza lavoro.

Queste possibilità possono esporre facilmente alla possibilità di andare incontro a delle esperienze che frantumano le proprie aspettative, aprendo ad un’esperienza molto pesante e dolorosa, difficile da fronteggiare.

Ci si può percepire all’improvviso molto diversi da quelli che si pensava di essere: vulnerabili, deboli e molto soli.
Sentirsi così può aprire ad una sensazione di fallimento e di incapacità a portare avanti quello che si immaginava; e al contempo, a vivere la possibilità di tornare in patria come qualcosa che sancisce il proprio “insuccesso”.

Quando si ritrova all’estero ciò che si pensava di aver lasciato a casa.

Al fondo della scelta di partire spesso è possibile rintracciare il desiderio di porre una distanza tra sé stessi e il proprio contesto culturale e relazionale, percepito come qualcosa che imprigiona, soffoca, ingabbia.
Si anticipa che partendo e ponendo una distanza ci si possa assicurare la possibilità di affrancarsi da tutto e da tutti, di perseguire, finalmente, i propri progetti e di re-impostare sé stessi e il proprio mondo relazionale in un modo nuovo.

Ma poi, dopo che si è partiti, ci si può riscoprire attraversati e, a volte travolti, da sentimenti inaspettati o dagli stessi vissuti da cui si cercava di allontanarsi.

Ci si può ritrovare a sentirsi “egoisti” e anche “cattivi”, per essersene andati e aver lasciato, e “abbandonato”, le persone importanti -soprattutto quando si avverte la loro sofferenza per la distanza o li si percepisce bisognosi-.

Ci si può ritrovare a sentirsi sopraffatti dalle stesse difficoltà e inquietudini personali e relazionali che si pensava di aver lasciato in patria.

E così, la speranza di ricostruire qualcosa di diverso lascia lentamente lo spazio alla percezione di essere di nuovo coinvolti nelle stesse difficoltà da cui si immaginava di distanziarsi con la scelta di partire.
È un po’ come ritrovarsi a lottare con gli stessi fantasmi da cui si pensava di essersi liberati.

Ritrovarsi in una situazione simile può essere molto destabilizzante, soprattutto se attraversata dalla sensazione di non aver più nessuna cartuccia da sparare per cambiare la propria situazione.

Il senso di Sradicamento: la confusione rispetto a “chi sono”

“Il radicamento è forse l’esigenza piú importante e piú misconosciuta dell’anima umana
e lo sradicamento è una vera e propria malattia spirituale.”
S. Weil, La prima radice

Vivere il senso di sradicamento è un po’ come abitare una terra di mezzo, una terra sospesa tra quella da cui si proviene e quella dove si è deciso di vivere.

È avvertire che la parte più intima di sé stessi non trova più quel terreno dove poggiare le sue radici e a cui appartenere.

Il rapporto con la propria terra d’origine è attraversato dalla sensazione di non aderire più intimamente a quello specifico modo di intendere la vita.
Si avverte uno scarto tra sé stessi e le proprie origini; uno scarto che mette in evidenza le differenze tra ciò che si è diventati andandosene e ciò che è rimasto.
Uno scarto che sembra rompere la possibilità di un senso di appartenenza profonda.

Il rapporto con il luogo che si è scelti, d’altro canto, è pervaso da un senso di ambiguità.
Seppur in esso viva la possibilità di dare forma ad aspetti tanto significativi per sé come, per esempio, un senso di libertà o un senso di efficacia personale attraverso il lavoro, rimane pur sempre un “luogo” a cui manca un pezzo per essere chiamato davvero “casa”.

Questa esperienza può diventare un sottofondo alla propria esperienza di espatrio, ma che non blocca la propria vita.

Altre volte può sfociare in un malessere più significativo accompagnato da depressione, da un senso di isolamento, ma soprattutto da un senso di confusione e disorientamento rispetto a sé stessi, come se si fosse andati incontro al non riuscire più a mettere a fuoco chi si è.

Avere dei nodi in sospeso rispetto al proprio passato cosí come cambiare paese più volte e, quindi, sottoporsi a continui adattamenti ad abitudini diverse, possono favorire una tale esperienza di blocco.

Che cosa fare

È importante considerare gli stati di grande malessere e i sintomi che possono accompagnarlo come dei segnali che suggeriscono che ci si è “arenati”, perché impossibilitati a trovare strade diverse per fronteggiare la situazione che si sta vivendo.
In quest’ottica i sintomi sono inviti a porci delle domande nuove, che aprono alla ricerca di nuove possibilità, nuove prospettive per riprendere il cammino.
In queste situazioni può essere utile rivolgersi ad uno specialista per intraprendere un percorso di consulenza o terapia.

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