Adattarsi ad una vita all'estero

L’adattamento ad un paese straniero è un processo che riguarda il prendere forma di una relazione: tra la persona che approda in terra straniera e i luoghi, le persone, la cultura di quella terra.
In quanto tale è un processo complesso, che richiede tempo perché si realizzi e che evolve costantemente.

Nel suo prendere forma l’adattamento può implicare una fase di stallo, che ho chiamato di “crisi fisiologica”.
Infatti, anche quando l’avventura del trasferimento inizia con un forte coinvolgimento ed entusiasmo, è pressoché facile andare incontro ad una battuta d’arresto.
Affacciarsi ad un nuovo contesto culturale (tanto più è diverso dal proprio e tanto meno lo si conosce) può far emergere una sensazione di sospensione quando non si ritrovano più le “cose” che si davano per scontate.
La trama “invisibile” di significati condivisa in patria, salta: non è più cosí fluido andare in un negozio o scambiare due parole con qualcuno…

Questo “salto di ovvietà” dopo un po’, può aprire ad un’esperienza di tristezza, di vuoto sottile, di nostalgia per ciò che si è lasciato, di incertezza rispetto alla sensatezza della scelta.
Ma ci sta. È una crisi “fisiologica”, comprensibile alla luce del passaggio a cui si va incontro. Nell’esperienza più comune, questo momento lascia lo spazio ad un progressivo coinvolgimento con ciò che sta intorno.

E cosí, lentamente, comincia ad affacciarsi la sensazione di essere, in qualche modo, parte di quel mondo, “coinvolti” in quel modo di vivere, come se in quella terra ci fosse, finalmente, uno spazio in cui ci si possa muovere per ciò che si è.

Per alcuni, questo passaggio assume i contorni di un senso di appartenenza da essere descritta come “sentirsi a casa”.

Fattori che entrano in gioco nel processo di adattamento

È importante sottolineare che, seppur sia possibile rilevare una certa comunanza nell’esperienza delle persone, c’è un carattere di soggettivitá da cui non si potrà mai prescindere e che renderà ogni esperienza di adattamento unica.

Di seguito, cercherò di raccontare alcuni aspetti, che, dal mio punto di vista hanno un ruolo significativo rispetto al modo in cui prenderà forma la singolarità di ogni storia di adattamento.
Questi aspetti cercano di tenere a mente come ogni storia sia il frutto dell’incontro specifico e non ripetibile tra l’unicità identitaria della persona che si trasferisce e la specificità del contesto che accoglie.

Qual è la cultura della “diversità” del paese ospitante?

Ogni paese ha (e modifica nel tempo) un suo modo di vedere chi arriva da luoghi altri e, quindi, un suo modo (o diversi modi) di mettersi in relazione a lui.
E in ogni paese ci sono molte realtà, e in ogni realtà persone diverse che, seppur nella condivisione di una matrice culturale, avranno modi differenti di muoversi nei confronti di chi si trasferisce nella loro patria e una disponibilità diversa ad entrare in relazione.

In ogni luogo c’è una cultura della diversità sulla base della quale prenderanno forma modi diversi di entrare in relazione con chi arriva da luoghi altri.

Per esempio, ci potranno essere più o meno servizi che aiutano chi arriva, più o meno contesti che favoriscono l’incontro, più o meno curiosità a conoscere ed entrare in relazione con qualcuno che non appartiene alla propria realtà culturale o a considerarlo come una risorsa.

Questo aspetto incide sulla facilità con cui si evolverà il processo di adattamento; favorirà in chi arriva che ci si possa sentire più o meno accolti e che ci si possa mettere più o meno in gioco.

Le differenze tra la propria cultura di appartenenza e quella ospitante.

Le differenze tra la propria cultura di riferimento e quella del paese ospitante -differenze che si esplicano nei valori, nei modi di intendere i rapporti tra le persone, nei significati attribuiti a molteplici aspetti della vita di una comunità- sono un fattore rilevante nel processo di adattamento.
Andare in un paese che culturalmente è simile al proprio (rispetto per esempio al modo di regolare i rapporti o di intendere l’infanzia…) faciliterà il processo di adattamento nel momento in cui risulta più anticipabile e comprensibile ciò che accade. Così, ciò che si vive risulta più facilmente accessibile e questo rende la possibilità di muoversi in quel contesto più semplice.
Potremmo dire che mancherà meno la terra sotto i piedi.

Differenze culturali molto significative, non implicano di certo che non ci possa essere adattamento, ma richiederanno più tempo per essere conosciute, comprese e per capire se e come ci si possa stare.

Il grado di compatibilità tra gli aspetti più rilevanti della propria personalità e la cultura in cui ci si trova a vivere.

Andare ad abitare in un paese di cui si apprezzano alcuni aspetti culturali, trovandoli coerenti e molto sensati per il tipo di persona che si sente di essere, favorirà un processo di adattamento molto più fluido, perchè sarà attraversato dalla percezione di riuscire a portare avanti, in quel contesto, il proprio modo di essere e i propri valori.

Che cosa si può fare per favorire un “buon” processo di adattamento?

Ci sono alcuni aspetti che, dal mio punto di vista, possono favorire che il processo di adattamento si dispieghi in modo più scorrevole.

Prepararsi prima di partire

Prepararsi prima di partire e, quindi, conoscere giá prima di partire la cultura del posto, il funzionamento di aspetti della vita quotidiana diversi (lavoro, case, scuole..) permette di arrivare già con la sensazione di aver fatto un pezzo di strada importante e che si è già in relazione, in qualche modo, con quel luogo, con quella cultura.

La conoscenza della lingua

La conoscenza della lingua rappresenta una delle porte di accesso principali per entrare in contatto. Nella lingua, infatti, abita il modo di sentire, di vedere, di intendere il mondo di una persona e, in quanto tale, strumento principe (anche se non unico) per comprendere ed esprimersi.
Non conoscere la lingua amplia significativamente la possibilità che si vada incontro ad un senso di distanza, di incomunicabilità e, quindi, di impotenza, di blocco e solitudine.
Questo rende comprensibile perché il primo consiglio che viene rivolto a chi si vuole trasferire è quello di cimentarsi nella possibilità di imparare la lingua, cosí come quello di iscriversi al più presto a dei corsi di lingua o lanciarsi nella comunicazione, andando oltre il timore di essere inadeguati o derisi.

Perché me ne sono andato? Che cosa sto cercando?

Il grado di consapevolezza personale rispetto ai motivi su cui è stata basata la scelta di partire e rispetto a che cosa ci si aspetta di perseguire dall’esperienza all’estero hanno un ruolo rilevante rispetto a come si vivrà il processo di integrazione.
Credo che il motivo principale risieda nel fatto che avere chiari questi aspetti favorisca la percezione di avere il timone della propria vita in mano; fondamentale, soprattutto quando l’esperienza all’estero espone a momenti difficili e di possibile vulnerabilità.
Tenere a mente perché si sia partiti e che cosa si stia cercando permette di tollerare e relativizzare i momenti più complessi a cui si può andare incontro e a darsi del tempo per rimettere in ordine le proprie prioritá e mettere a fuoco il senso personale che ha portato a scegliere di essere in quel posto.

Darsi tempo e riconoscere come legittimi i sentimenti che possono emergere.

Trasferirsi all’estero è un’esperienza complessa che implica, il più delle volte, ritrovarsi a vivere momenti difficili, di sconforto in cui ci si sente vulnerabili, deboli, persi.
Sono esperienze assolutamente comprensibili alla luce di una tale esperienza, ma che se non riconosciuti come legittimi e comprensibili possono sfociare in vissuti più pervasivi di impotenza, senso di inadeguatezza, debolezza e incapacità a portare avanti il proprio progetto (vedi anche andare in crisi all’estero) .
Al contrario riconoscerli come legittimi apre alla possibilità di non spaventarsi, di darsi del tempo e, con il proprio passo, fare qualcosa al riguardo.

Condividere l’esperienza

Condividere la propria esperienza e, quindi, anche il senso di vulnerabilità e fragilità che possono emergere, può agevolare questo processo. Infatti, la condivisione, alleviando il senso di solitudine e mettendo in evidenza gli aspetti di comunanza (se possibile con le persone che hanno vissuto o stanno vivendo esperienze simili) rendono più “normali”, legittimi e, quindi, tollerabili, certi vissuti.

Mantenere le relazioni con le persone care che sono rimaste in patria

Generalmente la possibilità di trovare un modo per mantenere i rapporti con le persone care e di sentirle vicine al di là della distanza geografica è un aspetto che favorisce l’adattamento in un nuovo paese.
Questa possibilità riduce il senso di solitudine, regala la sensazione di essere sostenuti e incoraggiati nella nuova esperienza e, non ultimo, favorisce un senso di continuità tra la vita prima e dopo il trasferimento.

Va detto che per alcune persone, al contrario, proprio per far fronte al meglio alla nuova esperienza, è preferibile ridurre i rapporti con i propri faniliari e fare affidamento su sé stessi.

Coltivare la disponibilità a lasciarsi “contaminare”: una quota significativa di sorpresa e scoperta.

Si può scegliere di “abitare”l’esperienza all’estero in modi diversi: si può “stare sulla porta”, mantenendo una distanza o comunque dei confini ben precisi tra chi si è e chi è l’altro oppure si può entrare nell’incontro lasciandosi “contaminare”, sapendo che come in ogni incontro, sono racchiuse possibilità che non possono essere immaginate a priori.
Entrambi racchiudono vincoli e possibilità.
“Stare sulla porta” può favorire una sensazione di maggior ordine e controllo rispetto alla propria vita, mettendo al riparo da sensazioni di ansia, fatica e incertezza, ma può rischiare di “svuotare” il senso di essere all’estero.
“Lasciarsi contaminare” implica abitare una disponibilità ad accogliere l’Altro, il “diverso da me”, come possibilità di scoprire “luoghi” ancora sconosciuti e di aprirsi alla possibilità di cambiare attraverso questo incontro.

Quando adattarsi diventa particolarlmente difficile

A volte il processo di adattamento risulta particolarmente difficile e si può andare in crisi all’estero.
L’esperienza di ogni giorno può diventare particolarmente pesante tanto da sentirsi fermi, paralizzati o all’angolo; un po’ come dentro ad un labirinto in cui non si riesce a trovare la via d’uscita.
Si possono associare in queste situazioni anche dei sintomi specifici: pianti significativi, attacchi di panico, tristezza molto forte, voglia prolungata di non uscire…
In questi casi può essere molto utile contattare un professionista con cui poter riprendere il filo del proprio cammino.

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